Celiachia e forme tumorali
Il corretto funzionamento dell'intestino come forte prevenzione ai linfomi del sangue.
Brutte notizie per chi soffre di celiachia, ai comuni effetti negativi di questa patologia, soprattutto a carico dell'apparato digerente con tensione addominale, vomito, diarrea e cefalea, si somma oggi un'altra seria problematica che tocca il sangue.
Uno studio recente mette in stretta relazione, infatti, la celiachia con il linfoma al sangue, uno dei tumori più temibili e da monitorare con attenzione in chi deve guardarsi dal consumo di glutine.
Non per tutti fortunatamente: nell'indagine è risultato alto il rischio solo per chi presentavano l'atrofia ai villi (un danno intestinale persistente e identificato con biopsia), più basso o nullo per i pazienti con un intestino regolarmente funzionante.
La scoperta è importante perché indirettamente riesce a relazionare la guarigione dell'intestino, confermata con certezza dalla biopsia, con le problematiche cliniche di chi soffre di celiachia.
Il linfoma è un tipo di tumore del sangue che si manifesta quando i globuli bianchi si dividono più velocemente del normale o superano la loro tipica aspettativa di vita, si può sviluppare nel sangue o nel midollo osseo, ma anche nei linfonodi, nella milza e altri organi.
Gli esiti della ricerca, secondo l'equipe che ha condotto la lunga analisi, suggeriscono che un obbiettivo importante per i pazienti celiaci deve essere la guarigione della mucosa intestinale così da limitare al minimo l'insorgere di linfomi o altre forme degenerative.
Rimane però il mistero sul perché sia solo l'intestino di alcuni pazienti a guarire, mentre con altri questo non avviene malgrado gli sforzi fatti.
Di certo si sa che la guarigione è più probabile tra i pazienti che riferiscono una stretta aderenza alla dieta priva di glutine, rispetto a coloro che seguono con meno rigidità le prescrizioni.
Lo studio è stato condotto da un team di scienziati del Celiac Disease Center presso il Columbia University Medical Center (CUMC) e del NewYork-Presbyterian/Columbia ed è stato pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine.
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